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9 Giugno 2018

“Quando si parla di Bellizzi occorre ricordare che non è un quartiere di Avellino, non è nato con l’espansione della città. Fino al 1938 è stato un comune autonomo. Fu il podestà di Avellino dell’epoca, desideroso di ampliarne i confini , a chiedere lo scioglimento del comune di Bellizzi, trasformando il paese in una frazione del capoluogo”. A parlare del suo paese così, tra il rimpianto e la rabbia, è il veterinario locale, il dottor Luigi Urciuoli. “ A trasformare il paese in un quartiere dormitorio ci pensarono i sindaci, dopo il terremoto del 1980, quando costruirono anche qui i prefabbricati pesanti. Ci vennero ad abitare persone del tutto estranee alla comunità che non si sono mai integrate “. In effetti, alle spalle del paese, su una collinetta, sorgono una decina di prefabbricati che, anche per la localizzazione, appaiono del tutto separati dal resto della frazione. Anch’ essi, come quasi tutti quelli di Avellino, abbisognano di una robusta manutenzione. Anche qui c’è il problema delle coperture in amianto che dovrebbero essere rimosse solo che, al momento, non ci sono progetti per ristrutturarli, nemmeno in parte, come è avvenuto al quartiere Quattrograne. “ Mentre venivano i terremotati molti dei nostri andavano via, altrove, per i danni subiti dalle case, continua, irrefrenabile, Urciuoli. I politici hanno fatto di tutto per distruggere questa comunità, una volta culturalmente vivace”. In effetti passeggiando per il paese, che consiste, in realtà, di una strada su cui a destra e sinistra si affacciano case basse si ha davvero l’impressione di trovarsi in un classico quartiere dormitorio. Pochissima gente per strada, la maggior parte dei negozi chiusi e, insomma, un’aria di abbandono che ti cade addosso dalle facciate di queste case. Poi, però, guardo meglio e scorgo le tracce dell’antico comune. E tornano i ricordi. Da ragazzo venivo qui, con mio nonno, a trovare un amico suo e ci venivamo a piedi dalla villa, in campagna, dove allora abitavo. Ricordo il palazzetto dove sorgeva il comune. C’è, ancora, il palazzetto, molto rovinato per la verità e qualche casa con una  pretesa di eleganza. Al piano terra dell’ex municipio c’è ancora la tabella, ormai inutile, della sede della settima circoscrizione. “ Al comune di Avellino, dopo la soppressione delle circoscrizioni, mi dice, con voce seccata, il veterinario, non hanno mai voluto considerare la possibilità di dare al paese una qualche forma di autonomia, in ragione della sua specificità. Hanno trattato questo che era un Comune come un quartiere qualunque. Questo, invece, è un borgo antico quanto Avellino, se non di più. Ho conservato moltissimi documenti che compravano la sua esistenza da secoli e secoli”. E i documenti sono conservati all’interno del circolo culturale “ il Paese “ , ormai solo un guscio vuoto. Fino ai primi anni del duemila,  mi spiegano, si faceva attività culturale. C’era anche un gruppo teatrale, ma, ormai, non c’è quasi più nulla. I giovani sono andati via e in paese sono rimasti solo i vecchi.  Questa non è una comunità ricca, lavoro non se ne trova. E’ un paese prevalentemente contadino, sospeso tra la Valle del Sabato e l‘incombente presenza del monte Faliesi, quasi sospeso sulle case. Poco oltre il comune c’è un cantiere aperto. Coi fondi europei stanno rifacendo la vecchia scuola e piazza Napoli, la piazza centrale. E’ un lavoro di oltre un milione di euro che si avvia, lentamente, alla conclusione. Anche qui i dubbi non mancano. La scuola, infatti, era già stata chiusa per mancanza di alunni e non si capisce questo nuovo edificio a cosa servirà. Forse sarà un’altra scatola vuota. Vado più avanti e mi imbatto in un altro cantiere. Sistemazione spazio a verde, recita un cartello, anche questa opera è finanziata con fondi europei e anche di questa non si comprende l’uso futuro.  C’è qualcuno che vorrebbe farne parcheggi per sopperire alla cronica mancanza di spazio per le auto. Al di là della curva, mi aspetta una sorpresa. Il paese si è trasferito e condensato proprio qui. In cinquanta metri quadrati, sui due lati della strada, trovo l’ufficio postale, la lavanderia, il bar, la farmacia, insomma tutto quello che serve alla vita della frazione. Qui c’è anche tutta la vitalità che non ho visto all’interno del paesino. Il dottor Urciuoli che ha qui il suo studio,  conferma la mia impressione. “ Per fortuna siamo riusciti a salvare la Posta e la Farmacia, altrimenti Bellizzi sarebbe morto davvero, Ora tutto è concentrato in due o tre palazzi”. Conversando con il dottore apprendo che, lungo la strada principale, di fronte alla chiesa, c’è la sede dell’Arciconfraternita del Purgatorio. Prima era una chiesa e sotto il pavimento, com’era uso nel Medioevo,  venivano seppelliti i morti. Ma chi viene qui non può trascurare l’esistenza di una tradizione che affonda la sue radici nel cinquecento: la Zeza. E’ una rappresentazione burlesca, una farsa di origine contadina che ha una particolarità. Ancora oggi tutti i ruoli, maschili e femminili sono impersonati solo da maschi che, all’occasione, si travestono. Sono fortunato, visto l’approssimarsi del carnevale. Il presidente della Zeza o meglio dell’associazione che la tiene in vita, Luigi Spartano mi invita ad assistere ad una prova che,tra l’altro, è la prima che si effettua coi musicisti che ne accompagneranno le antichissime canzoni. Le prove si tengono nell’atrio della ormai chiusa scuola elementare, oggi destinata a varie associazioni. Appena entro sento i cinque musicisti che vengono da Bracigliano, un paese del salernitano poco lontano, dare il ritmo ad una decina di figuranti che danzano. E’ sera,ovviamente, perché tutti fanno un altro mestiere e provano  dopo aver finito il lavoro. Intorno una decina di persone che assistono. La Zeza non è una improvvisazione. Fino a non molti anni fa era raccolta oralmente. Poi, dopo  gli approfondimenti di studiosi anche dell’Università di Roma sono state trascritte le musiche e le parole della rappresentazione che termina con una sfrenata quadriglia. Ci sono ruoli precisi, il più importante dei quali è quello del capozeza. Da un po’ di anni il capo è Pellegrino Iannaccone. “ E’ un po’ come l’allenatore nel calcio, mi spiega il presidente Spartano, o come il regista. E’ lui che dirige i musicisti e i figuranti, assegna le parti e stabilisce i ruoli” E’ una figura assai interessante perché è scelto a vita o fin quando lui stesso non decide di passare la mano. “ Ma, il passaggio, precisa il presidente avviene in pubblico. Durante una rappresentazione il capo passa la sua spada a colui che  ha scelto come successore, così tutti sanno chi è”. E,la Zeza di Bellizzi una tradizione molto importante, al punto che lo stesso maestro De Simone l’ha celebrata, anni or sono come un “unicum” in Campania. “ Anche per questo avevamo chiesto al Comune di introdurre nel proprio statuto il riconoscimento della Zeza come patrimonio del Comune, ma naturalmente non abbiamo avuto nemmeno l’onore di una risposta”, soggiunge, amareggiato il presidente. Invece hanno avuto una risposta ,naturalmente informale, alla richiesta di avere in comodato d’uso una parte dei locali che si stanno ultimando in piazza Napoli. E, naturalmente, la risposta è stata negativa. Mi domando che comunità sia o voglia essere quella di chi non conosce o non si interessa ad una tradizione antichissima come questa. E poi ci si lamenta del disinteresse, quando non dell’antipatia che circonda la politica ed i politici. “E sì che con la Zeza, dice Sabino Pastore uno degli ultimi presidenti della circoscrizione, volevamo legare le nostre tradizioni alle istituzioni. Non capirlo è un grave errore da parte dell’amministrazione”. I “ zezari”, frattanto, di fronte agli appassionati che assistono, provano le parti ed il ballo che la concluderà. E’ molto amaro constatare il disinteresse delle istituzioni rispetto a tradizioni come queste che raccontano la nostra storia, recente e meno recente. Quello che fu il Comune autonomo di Bellizzi non se lo merita.

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